Un film davvero toccante: “Uomini di Dio”, non è forte né come tempo, né come sceneggiatura, ma è fatto di silenzi, pause, respiri come la storia che racconta. Un film capace di far riflettere e commuovere, senza tanti clamori e fasti, che merita sicuramente di essere visto. Il titolo originale “Uomini e Dei”, racconta la grandezza e al tempo stesso la fragilità dell’uomo. Bellissimi i canti, semplici e intensi i visi dei protagonisti, i loro pensieri e sicuramente l’ultima lettera che viene saggiamente narrata dal regista. Il film candidato in Francia all’Oscar come Miglior Film Straniero, è davvero interessante e ha dalla sua un’ottima fotografia, suggestiva e nostalgica, ed una sceneggiatura toccante e malinconica. È una storia difficile. In un monastero in cima al Magreb, tra le montagne dell’Atlante, tra Marocco e Algeria, in pieno anni 90, otto monaci cistercensi francesi seguendo scrupolosamente la regola dell’Ora et Labora, portano aiuto a chi vive nei dintorni, integrandosi con il villaggio locale e con la cultura mussulmana, tanto che la popolazione loro si affida per le cure mediche. Poi un gruppo straniero di lavoratori in un cantiere viene massacrato e si sparge il terrore nella regione, in un periodo storico dove il Magreb e, soprattutto l’Algeria, è teatro della violenza da parte di gruppi terroristici. I monaci rifiutano di accettare la protezione armata dell’esercito… Continuano la loro vita, ma una notte nel convento fanno irruzione alcuni terroristi per essere soccorsi. Il regista Xavier Beauvois porta al cinema una storia vera di sette monaci francesi che scelsero il martirio, quando nel marzo 1996 furono sequestrati e le loro teste furono ritrovate sul ciglio di una strada dei monti dell’Atlante, dopo circa un mese di prigionia. Non si è mai saputo chi fossero esattamente i responsabili di questo massacro, né i corpi furono mai ritrovati. Uomini di Dio è un film capace di trovare un giusto equilibrio tra la narrazione e la storia, raccontando una tragedia di un popolo e la profonda fede di alcuni uomini che scelgono la religione, senza tralasciare un cammino difficile fatto di dubbi, fatica ed errori. La regia di Beauvois sceglie uno stile minimalista, che si addice alla vita monacale. La sceneggiatura procede gradualmente, prendendo per mano lo spettatore e conducendolo nella vita monastica dove i giorni sono scanditi da preghiera e lavoro e dall’incontro esterno con la realtà mussulmana. Certamente perfetti i visi e gli occhi degli attori che interpretano gli anziani monaci, i cui sguardi fanno comprendere la difficoltà della loro fede e lo scontro con paura della morte. Si respira la poesia nelle scene, nei gesti incorniciati dalla natura esterna o da un semplice raggio di sole che filtra dalla finestra, alba e tramonto si rincorrono in paesaggi desertici e senza confini, in una terra così lontana dalla nostra. Come non sottolineare silenzi che catturano il significato delle scene, della profonda dedizione alla vita religiosa e all’aiuto dell’altro, ma anche portatori di incertezze e paure, su un martirio che si avvicina. La frase che vi lascio è quella del monaco Christophe “Perché si è martiri? Per amore e fedeltà, non per essere degli eroi. Perché l’amore supera e sopporta tutto” È questo il messaggio che hanno portato quegli anziani monaci in un villaggio magrebino, ove hanno convissuto in semplicità con una realtà religiosa differente, ma che hanno saputo accettare con dedizione il loro servizio fino alla morte silenziosa.

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