Questa è la storia tragica di Ida Dalser, presunta prima moglie di Mussolini non ancora Duce, ma giornalista socialista, che da lui ebbe un figlio, Benito Albino Mussolini legalmente riconosciuto, che morì con la madre in un ospedale psichiatrico di Milano dove il Duce li aveva fatti internare. Abbandonata dal neo Duce come un’amante di poca importanza, Ida continua a gridare la verità senza tregua, nonostante questo gesto la conduca ben presto all’internamento…Marco Bellocchio, regista esperto e con un sacco di film alle spalle, si riaffaccia oggi sulle scene con questo Vincere, ricostruzione pseudostorica della triste vicenda di Ida Dalser. Il suo progetto è sicuramente coraggioso e molto interessante, allo stesso tempo tradizionalista e innovativo, ligio ai più blasonati canoni del dramma eppure capace di apportare qua e là delle vere e proprie ventate di aria fresca stilistica. Tanto a livello di sceneggiatura quanto sul piano visivo, Bellocchio si permette soluzioni coraggiose e di certo non comuni per questo genere di film. in più d’un occasione la sceneggiatura risulta confusa e squilibrata, caratterizzata com’è da continui salti temporali scarsamente motivati e mal inseriti nella dinamica della vicenda, con alcuni “trucchetti” visivi escogitati, apprezzabili nei loro intenti, che molto spesso appaiono confusionali. Ma i problemi di Vincere non finiscono qui. La sceneggiatura ha infatti più di un acciacco: se da una parte possiamo certo dire che è scritta con un talento non da poco, dall’altra non possiamo negare che lo script, semplicemente, non ha mordente. Un po’ a causa della già citata confusione, un po’ per una generale incapacità di sfruttare tutti i piccoli e grandi espedienti che offre il cinema per mantenere vivi interesse ed attenzione, Vincere non riesce proprio ad “acchiappare” lo spettatore. E’ fatto bene, scritto bene, realizzato bene, diretto bene e recitato splendidamente, con una Giovanna Mezzogiorno ed un Filippo Timi da Oscar; ciononostante, semplicemente il film non riesce a sviluppare quella delicata, magica alchimia che rende una produzione capace di catturare il pubblico.Vincere è un’opera di fattura magistrale, ottima sotto quasi tutti gli aspetti. Quasi. Quello che manca, purtroppo, è qualcosa di molto importante: la capacità di ammaliare il pubblico.La storia.Milano, primi anni del 1910. Benito Mussolini, giovane direttore del quotidiano socialista ‘Avanti!’, è fermamente deciso a guidare le masse verso un futuro anticlericale, antimonarchico e socialmente emancipato. Accanto al lui c’è Ida Dalser, una donna conosciuta a Trento che lo ama e lo sostiene in tutto. Arriverà persino a vendere quello che ha per aiutarlo a finanziare i suoi progetti: la fondazione di un nuovo quotidiano, il ‘Popolo d’Italia’, e la nascita del movimento fascista. Gli darà anche un figlio: Benito Albino. Tuttavia, quando allo scoppio della I Guerra Mondiale Mussolini si arruola nell’Esercito, Ida perde le sue tracce. Lo ritroverà già sposato con Rachele e a nulla varrà la lotta disperata che condurrà per affermare i suoi diritti come moglie e madre di suo figlio. Ida però dovrà scoprire che il suo matrimonio, avvenuto in chiesa, ha molto meno valore di quello che Mussolini ha contratto civilmente con Rachele Guidi da cui ha avuto la figlia Edda. Rinchiusa in un istituto psichiatrico e allontanata dal suo bambino, subirà torture e violenze psicologiche che non basteranno tuttavia a fermare la sua lotta ostinata. L’ascesa dell’uomo politico è inarrestabile così come la sua decisione di escludere dalla propria vita sia Ida che il bambino. La donna cercherà di autoconvincersi che si tratti solo di una messa alla prova che non potrà che risolversi in senso positivo. Invece significherà per lei e suo figlio la morte in ospedale psichiatrico circondati da una cortina di oblio.Marco Bellocchio affronta una pagina di storia italiana misconosciuta. La notizia era apparsa negli anni Cinquanta, ma pochi vi avevano prestato credito perchè in quell’epoca i falsi memoriali su malefatte degli esponenti del fascismo inondavano le redazioni. Due giornalisti Rai, Novelli e Laurenti, riprendono di recente le ricerche e realizzano un documentario che va in onda su RaiTre nel gennaio 2005. Da esso emerge una fitta serie di testimonianze sulla veridicità di quanto all’epoca denunciato.Si può affermare che Bellocchio non poteva non essere attratto da una vicenda che coniugava il tema del potere con le dinamiche della psiche. Ne emerge un film come al solito molto personale che denuncia però una costrizione in cui il regista non si trova a suo agio. La camicia di forza della Storia, con le sue date e i suoi avvenimenti, vincola la narrazione che tenta di liberarsene non riuscendovi sempre. Certo Bellocchio aveva già affrontato di recente la Storia con Buongiorno, notte ma lì aveva potuto lavorare da Maestro ri-costruendo. Qui non può farlo liberamente e se ne avverte la consapevolezza nella scelta stilistica di ricorrere a una modalità narrativa che gli sta particolarmente a cuore: l’opera lirica. L’intero film è costruito come un melodramma sia sul piano musicale che su quello della struttura, con la passione dominante all’inizio a cui seguono la disillusione e la morte. Su tutto questo prevale però una lettura decisamente interessante e che mette in gioco la psichiatria e, ancor più, la psicoanalisi che studia il rapporto tra il potere e le masse. Mentre la follia diviene sempre più collettiva e partecipata nel Paese, ci suggerisce Bellocchio, diviene quasi indispensabile che la normalità (Ida) venga trattata come devianza. Mentre l’Italia corre verso il baratro della Seconda Guerra Mondiale la Dalser e suo figlio vengono fatti precipitare nella clausura degli Istituti. Dove non basterà l’ammonimento dello psichiatra: «Questo non è il tempo di gridare la verità. È il tempo di tacere, di recitare una parte». Chi non è disposto a piegarsi non può che essere stroncato oppure, come accade nell’immagine più intensa del film, non può che arrampicarsi su sbarre senza via d’uscita per gettare nella neve lettere che mai nessuno leggerà.